“LA LISEUSE” (“LA LETTRICE”) di PIERRE-AUGUSTE RENOIR

“LA LISEUSE” (“LA LETTRICE”) di PIERRE-AUGUSTE RENOIR

di Filippo Musumeci

  • Opera: La Lettrice” (“La Liseuse”)

– Anno:1874 – 76

– Tecnica: olio su tela,

– Dimensioni: 46,5 x 38,5 cm.

– Luogo di ubicazione: Parigi, Musée d’Orsay.

– Firmato in basso a sinistra: «Renoir». 1 L’opera fu acquistata da Gustave Caillebotte – amico di Renoir, pittore anch’egli nonché mecenate del movimento impressionista – che, assieme ad altri lavori acquistati dallo stesso in più occasioni per finanziare le attività del gruppo artistico al quale apparteneva, andò ad arricchire la sua prestigiosa collezione privata, generosamente donata, nel 1894, allo Stato francese. Esposta dapprima al Museo parigino du Luxembourg, passò nelle sale del Louvre e del Jeu de Paume prima di vedere la sua destinazione finale presso l’Orsay. Il motivo dell’opera, particolarmente in voga nella pittura francese settecentesca di genere, fu molto caro a Renoir e da questi affrontato più volte, quale sentito omaggio a un tema iconografico fra i più apprezzati dall’alta borghesia parigina. La modella della tela in oggetto – la stessa che posò per i dipinti “Femme au chat” (“Donna con gatto”, 1875), “La Jeune file au lilas” (“La ragazza in lilla”, 1877), “Jeune femme assise” – “La Pensée” (“Giovane donna seduta” – “Il Pensiero”, 1876-77), “Torse, effet de soleil” (“Torso, effetto del sole” – 1878), “Portrait dit de Margot (“Ritratto di Margot” – 1878) e, probabilmente, anche in “La Chevelure” (“La Chioma”, 1876) – nonostante non identificata con certezza, secondo il parere della critica potrebbe essere una delle tante habitué del “Caffè Guerbois” o de “La Nouvelle- Athénes”, locali di ritrovo e incontro degli artisti moderni. Tuttavia, alcuni hanno avanzato il nome di Marguerite Legrand, detta Margot, modella di Renoir dal 1875 e morta di febbre tifoide nel 1879. Secondo il parere degli studiosi, sarebbe lei la modella ritratta nel “Ballo al Moulin de la Galette” (1876) sulla sinistra nell’atto di ballare con il pittore cubano Pedro Vidal de Solares y Cárdenas. Lo scrittore e amico di Renoir, Georges Riviere (anch’egli posò nel “Ballo al Moulin de la Galette”, rappresentato sulla destra seduto attorno al tavolo assieme agli amici Frank Lamy e Norbert Goeneutte), autore del libro omonimo “Renoir”, riporta come Renoir ammirasse Margot per il colorito della pelle: “Aveva una pelle che rifletteva la luce”.

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Sono questi gli anni in cui Renoir, già trentenne, si concentra su figure femminili d’interno, intente alla lettura o emotivamente coinvolte nello sfavillio mondano offerto dalla Parigi di fine secolo, trasponendo nelle tonalità dorate della luce artificiale a gas, il riflesso vivace e cangiante del nuovo stile. Nelle scene fissate sulla tela si respira tutta la leggerezza, la viviacità e il brio di tutta una città in perenne mutamento e movimento, che ha scoperto il sapore e il fragore della notte, ove le classi sociali si mescolano nel perpetuo andirivieni lungo i boulevards. L’opera appartiene a un periodo fecondo dell’artista: i colori impiegati sono simili a quelli di opere divenute nel tempo tra le più celebri della sua nutrita produzione, come “L’altalena” e “Le Moulin de la Galette”, entrambe del 1876. Il mezzo busto scorciato della ragazza, nella sua inquadratura ravvicinata e convenzionale, è illuminato da un fascio di luce proveniente dall’apertura (porta o finestra) posta sulla destra (alla sinistra dell’osservatore) che ne investe incisivamente il profilo destro dalla delicatezza sentita e la folta chioma biondo – ramato dei capelli, per riflettersi, poi, sulle pagine aperte del libro. In quest’ultimo accessorio si scorge il contributo di maggiore originalità dell’opera, concretizzato dal forte contrasto tra il chiarore illuminato del viso e le note scure blu-violacee della veste e della copertina cartonata, ove brillano incandenscenti sfumature rossastre. Ne risulta un contegno squisitamente sobrio per mezzo del quale ne percepiamo istantaneamente la profonda intensità psicologica che pervada l’intera figura borghese, esaltata dal colorito roseo delle gote, dal rosso brillante delle labbra, dallo jabot rosa nel quale è sprofondato il mento e dalle due semplici linee nere tracciate sul volto per rendere la dolce espressione degli occhi profondamente assorti nella lettura.E l’abbandono nel piacere di questa attività intellettuale è tale da non avvedersi (fosse solo per pochi attimi) di essere scrutata nell’imperturbabile freschezza dei suoi anni dallo sguardo, ora fuggente, ora vigile, dell’osservatore. L’intima atmosfera e il vago erotismo emanati dalla scena sono esaltati da una morbida luce soffusa, frutto di un calcolato dosaggio di colori caldi e freddi stesi mediante pennellate dense, rapide e virgolettate che sfaldano le superfici cromatiche e, eludendo i particolari fisionomici, assorbono i volumi plastici nello sfondo indefinito e chiuso dello spazio (forse un café) entro il quale i gesti transitori dell’azione sono congelati in una visione come sospesa e senza tempo. Con questo ritratto di donna ignota, francese, reale, moderna, Renoir ridefinisce il nuovo “femminino” romanzato dalla scuola naturalista di Emile Zola ed Edmond Duranty e osannato dai contemporanei. E su “La vie moderne”, il giornale al quale collabora, il pittore proclama il suo slogan: «Sì, voglio dipingere la vera regina della vita moderna, la Parigina».

Non ebbe torto il grande Marcel Proust quando dichiarò che: «Noi adoriamo le donne di Renoir. […] Per la strada passeggiano donne diverse da quelle del passato, diverse perché sono opere di Renoir sulle cui tele un tempo ci rifiutavamo di vedere delle donne. È questo il nuovo e fragile universo che è appena stato creato».

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