La teatralità della pittura di Nicolas Lancret: i tableaux vivants

Questo articolo è stato gentilmente condiviso e realizzato dalla Dott.ssa Miriam Raffaella Gaudio, esperta della pittura rococò francese e ospite graditissima del nostro blog. Siamo onorati di averla fra noi e ci auguriamo di poter ospitare spesso i suoi pregevoli contributi.
GRAZIE!

Nicolas Lancret (1690-1743), pittore rococò che riscosse gran successo nel suo tempo, lavorò a Versailles per il re Luigi XV e fu ammirato dai più importanti committenti dell’epoca.

Nicolas Lancret
Nicolas Lancret

Compì il suo apprendistato presso l’atelier di Claude Gillot, il maestro di Watteau, famoso per le sue capacità di decoratore, scenografo e marionettista. Fu lui a comunicare a Lancret la passione per il théâtre forain e per la Comédie italienne (basti pensare ad alcune sue opere come Les comédiens italiens à la fontane (1719) o Une scène de la Comédie Italienne, (1730) ad orientare la sua pittura verso l’elaborazione di straordinari tableaux vivants.[1]

Dal canto suo Lancret arricchì le fêtes galantes con le maschere della commedia dell’arte, ritrasse alcuni artisti famosi e riprodusse scene teatrali tratte dalle opere più in voga nel Settecento. Acuto osservatore e narratore delle pose, dei gesti e dei costumi di attori, ballerine e cantanti del suo tempo, raggiunse uno stadio in cui la pittura si fondeva con la drammaturgia. Pertanto nel 1742 eseguì i ritratti del celebre attore Grandval (1710-1784),

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Ritratto di Grandval, 1742 ca.
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Schizzo per il ritratto di Grandval

delle ballerine dell’Opéra, di M.lle Sallé e nel 1729-30 dedicò diversi tableaux a Anne Marie Cuppi de Camargo (1710-1770), opere, quest’ultime, che gli valsero l’ammirazione di Voltaire nelle sue Correspondances.

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Danza della Camargo, 1730
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Marie Anne Camargo o Danzatrice, 1730

Lancret riuscì a trasmettere il fascino e il carisma di questi personaggi, a individuarli singolarmente, pur adottando immagini piuttosto statiche rispetto all’ineguagliabile dinamismo degli schizzi di Gillot.
In realtà Gillot era riuscito a rappresentare gli attori della Commedia dell’Arte, in piena azione teatrale, i cui gesti dovevano essere perfettamente coordinati e codificati, per quanto fossero costretti a muoversi su palcoscenici dallo spazio ristretto.[3]Gillot ricreò i modi e i tempi della recitazione, modificando anche alcuni dettagli scenici. Al contrario, Lancret “parafrasò” letteralmente un testo o una scena in pittura, ponendo particolare attenzione allo studio cromatico e al raggiungimento di un perfetto equilibrio strutturale piuttosto che al movimento dei corpi. Alla maniera del suo maestro riuscì a rappresentare scene teatrali complesse che richiedevano sul palcoscenico l’assemblaggio di tre episodi diversi, convergenti in una sola scena.[4]

Tra le sue opere più famose, Les acteurs de la Comédie Italienne (c.1730)

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Les acteurs de la Comédie Italienne, 1730

presenta incredibili analogie e differenze con il Pierrot-Gilles di Watteau, del 1718.

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WATTEAU, Pierrot-Gilles, 1718

Nella versione di Lancret, Gilles porta con sé uno strumento musicale, secondo lo schema iconografico di Gillot. La posizione frontale e centrale della maschera, le braccia tese lungo il tronco e le pieghe delle maniche sono dettagli identici al personaggio di Watteau. Ma se nell’opera di quest’ultimo, il protagonista è malinconico, nostalgico, solo sul palcoscenico.

E’ distanziato dalle altre maschere che lo osservano dal basso, al contrario nel dipinto di Lancret appare sorridente in compagnia di altre maschere festanti e danzanti che comunicano agli spettatori lo spirito frivolo e giocoso tipico del rococò. Arlecchino, Arlecchina e Scaramuccia guardano compiaciuti l’osservatore, in atteggiamento dinamico, il che contrasta con la posa statuaria del Gilles di Watteau.

Una delle prime fêtes galantes in maschera di Lancret è Les comédiens italiens à la fontaine (1719).

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Les comédiens italiens à la fontaine, 1719

L’ambiente è un magnifico giardino con arredi dalla decorazione classica, in cui s’inserisce un gruppo piramidale, al cui vertice c’è Gilles spensierato,

diverso da quello, malinconico di Watteau. Questa maschera domina la composizione, essendo il punto focale della prospettiva centrale. Gli alberi, disposti lateralmente, aprono un varco nel cielo alle sue spalle. Gilles sta in piedi ed osserva con compiacimento una coppia alla sua destra. Quest’ultima ricorda i personaggi di un’altra opera d’indiscusso valore, La conversation galante (1720), grazie ai contrasti cromatici degli abiti quasi teatrali e agli atteggiamenti (si veda il capo della fanciulla chino da un lato, un modulo ripetuto spesso nella pittura di Lancret). I due personaggi sono Mezzettino e un’anonima fanciulla il cui abito rosa smorza il rosso acceso della dama in basso, vista di spalle (un altro modello frequente in Watteau).

Alla sinistra di Gilles, vi è un’altra coppia: una dama con un’ampia gonna verde, che fa da contrasto con tutte le altre tonalità, e il celebre Scaramuccia, che tenta in tutti i modi di sedurla. Ma la donna lo allontana e lo respinge, riproponendo i modi del corteggiamento nel Settecento. In basso, a sinistra, altre persone parlano tra loro e ricreano la tipica atmosfera di una “conversazione galante”.

Nell’insieme le figure formano un’altra piccola composizione piramidale che fa da “pendant” alla prima e va a chiudere l’opera.

L’impasto cromatico è tipicamente rococò: vi sono brillanti e accesi contrasti, il verde col rosa e l’arancio col rosso, la predominanza dei colori pastello.

Dall’alto verso il basso le gradazioni di colore, da quelle neutre e pallide di Gilles, diventano sempre più calde, come se Lancret avesse voluto creare una scala cromatica.

Il risultato finale è un’incredibile varietà di dettagli associata ad una geometrica armonia strutturale, fatta di moduli piramidali e triangolari, che esaltano l’aspetto teatrale e scenografico dell’opera.

Non c’è più confine tra teatro e pittura: lo scopo è quello di sorprendere ed entusiasmare il fruitore. A questo proposito uno tra i tableaux vivants più suggestivi e impegnativi di Lancret è l’opera che rappresenta Une scène tirée du Comte d’Essex di Corneille.

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Une scène tirée du Comte d’Essex

Sul palcoscenico la scenografia evoca una grande stanza dall’architettura barocca, circondata da monumentali colonne tortili con alternati motivi floreali, simili a quelle ideate dal Bernini per il Baldacchino di S. Pietro a Roma. La luce svolge un ruolo determinante: illumina la donna seduta al centro della composizione e ne fa la protagonista. Ella fissa lo spettatore e porta la mano destra al petto, probabilmente per aver ricevuto una notizia spiacevole dall’uomo alla sua sinistra.

I personaggi sono immobilizzati sul palcoscenico e comunicano il loro stato d’animo tramite i clichés recitativi del Settecento, rendendo abbastanza enfatica e ampollosa la recitazione.

La teatralità di questo dipinto si completa con l’ottimo studio della luce e delle ombre, combinato ad un cromatismo dalle vaporose tonalità calde in una mescolanza di giallo e rosso, in cui spicca l’abito vermiglio dell’uomo che causa il colpo di scena. L’equilibrio strutturale della composizione trasmette armonia tra le parti. Infine, alla maniera di Watteau e di un buon regista teatrale, si nota un’estrema attenzione ai minimi dettagli, agli abiti e alle stoffe dei tre personaggi, dal broccato al velluto.

La teatralità nella pittura di Lancret ha molti elementi in comune con quella di Hogarth: basti considerare l’impeccabile gusto scenografico nel disporre i personaggi in uno spazio ristretto, simile ad un palcoscenico; le figure, eloquenti nei loro gesti, sono frontali e disposte a semicerchio, alla stessa maniera degli attori che devono essere visibili al pubblico su un palcoscenico; inoltre l’azione teatrale è completata da un ricco ed elaborato apparato scenico alle spalle dei personaggi.

Spesso l’inserimento di cortine evoca l’apertura del sipario.

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Les troqueurs, 1736

Un’altra illustrazione di Lancret, Les troqueurs (1736) , ispirata ad uno dei Contes di La Fontaine, presenta notevoli punti di contatto con opere di Hogarth. Si tratta di un racconto sull’ignoranza e la meschinità di due contadini che barattano le loro mogli con degli asini. Lancret riprodusse il momento del contratto. I due personaggi che brindano con allegria nell’aspetto gioviale e rustico, nella resa dei colori squillanti, ricordano direttamente il Falstaff di Hogarth.

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HOGARTH, Falstaff

La composizione simmetrica rivela un cromatismo brillante dalle sfumature del giallo e del rosso. L’uso del colore è molto simile a quello di Hogarth, che aveva imparato a mescolare sapientemente il rosa scuro di Watteau con il giallo intenso di De Troy.[5]

Come un tableau vivant, l’azione sembra svolgersi sul palcoscenico. La posizione ben allineata dei personaggi in atteggiamento frontale, rivolto al pubblico li rende più che evidenti allo sguardo dello spettatore. L’eloquenza dei gesti dei due contadini contrasta con le pose statuarie delle mogli, mentre lo sfondo scenico dell’interno domestico connota i personaggi socialmente e completa la loro efficacia teatrale.

Le chien qui secoue de l’argent et des pierreries (1736), realizzato su una tavoletta di rame, è un altro magnifico tableau vivant, tratto dalle illustrazioni dei Contes di La Fontaine.

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Le chien qui secoue de l’argent et des pierreries, 1736

Lancret mostra il momento in cui Atis, travestito da pellegrino, si presenta nella camera di Argie e le dichiara il suo amore. La scena dalla prospettiva diagonale, si apre frontalmente all’osservatore. Vi sono le tende rosse del baldacchino, simili al sipario di un teatro, che fanno da cornice alla coppia, mentre la composizione si chiude armonicamente a sinistra con la governante china sul pavimento a raccogliere il denaro depositato dal cane. A destra una dama di compagnia è tutta intenta ad ammirare una pietra preziosa. Ogni personaggio è ben visibile, compie azioni diverse e si dispone a semicerchio intorno al letto di Argie, che occupa la parte centrale dell’opera.

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Schizzo con donna china

Lancret rivela la psicologia dei personaggi attraverso i loro gesti : l’avidità delle donne al servizio della padrona oppure l’arte della persuasione di Atis che prende il braccio d’Argie per sedurla.

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La cuisinère

Si può notare la dettagliata descrizione del denaro, l’accuratezza nel rappresentare l’ampio panneggio degli abiti e delle cortine. La governante, china per terra, di cui si esiste uno schizzo a sanguigna, ricorda un altro personaggio di Lancret, La cuisinère, simile alle protagoniste di scene domestiche ritratte da alcuni pittori fiamminghi del Seicento, come Willelm Kalf.6

La luce si concentra sulla fanciulla a letto. La struttura è triangolare e gli angoli sono smussati dal panneggio del baldacchino (che ricorda quello del Chiavistello di Fragonard) e dagli abiti delle due donne. Il letto si trova su un piano rialzato e pertanto richiama alla mente un palcoscenico dall’accurata scenografia.

Le immagini esaminate ci consentono di definire Nicolas Lancret originale narratore dei vizi, dei costumi e della moda del suo tempo alla maniera di Hogarth.

Dunque, considerare Lancret come imitatore dei grandi pittori dell’epoca è a dir poco riduttiva. Egli fu un artista originale e innovativo, non solo sul piano tecnico e stilistico, ma anche nella sostanziale interpretazione dei temi rococò, rinvigorito da un’intensa sperimentazione dei linguaggi teatrali.

Soprattutto nei Contes et nouvelles di La Fontaine, Lancret rivela delle vere e proprie “trascrizioni” narrative e teatrali dei testi, in cui il burlesco, il comico, la satira sociale e la scenografia dall’impeccabile gusto teatrale si uniscono in una straordinaria sintesi iconografica. Alla stessa maniera le maschere della Commedia dell’Arte rivivono nelle sue opere attraverso la commistione di elementi arcadici e popolari.

Dalla perfetta sintonia della sua pittura con il teatro, si deduce un’elevata visione pittorica della drammaturgia e la piena realizzazione di eccellenti tableaux vivants, che in seguito avrebbero trovato giusta definizione attraverso le parole di Diderot: “Lo spettatore sta in teatro come se fosse davanti ad una tela”.

Miriam Raffaella Gaudio

[1]              “Messa in scena di uno o più attori immobili e fissati in una posa espressiva alla maniera di una statua o di un quadro. I primi tableaux vivants risalgono al XVIII secolo (Claude Bertinazzi è considerato uno degli inventori di tale pratica scenica, riproducendo in teatro l’Accordée du village di Greuze). I tableaux vivants sono rappresentativi di una visione pittorica della scena drammatica” in P. Pavis, Dictionnaire du théatre, Méssidor, Paris, 1987, p. 382

[2]              R. Guarenti, La comédie italienne (1660-1697), Bulzoni, Roma, 1990, p. 222

[3]              H. Dieckmann, Illuminismo e rococò, Il Mulino, Bologna, 1979, p. 109

[4]              R. Guarenti, cit., p. 268

[5]              F. Antal, Hogarth e l’arte europea, Einaudi, Bologna, 1990, p. 199

6              M. Eidelberg, “The case of the vanishing Watteau” in Gazette des beaux-arts, 6/CXVIII, 2001, p. 30

7              P. Pavis, cit., p. 382

GIOVANNI IUDICE. IL LIRICO RESPIRO DELL’INTIMITÁ

GIOVANNI IUDICE. IL LIRICO RESPIRO DELL’INTIMITÁ

 di Filippo Musumeci

-Autore: Giovanni Iudice

-Opera: Seduta di fronte 

-Anno: 2004

-Tecnica: olio su tela

-Dimensioni: 60 x 30 cm.

-Ubicazione: Liguria, collezione privata

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«Dipingo per il pubblico, non per assecondarne i gusti. Che una mia opera piaccia o meno, importa poco. Ho però, in quanto artista, la responsabilità di mostrare a chi frequenta il mio lavoro il mondo per come lo vedo io». (Giovanni Iudice)

E io quel mondo l’ho visto, indagato, compreso. Ne ho assaporato ogni salmastra sfumatura, la ciclica matrice della sua natura; dei soggetti la forza evocativa, dei contenuti l’etica partitura. Dai disegni agli oli su tela, passando dalle dimesse scene di interni agli scorci dei paesaggi urbani, dalle intime sensualità dei nudi alle suggestive marine mediterranee, dai bagnanti del litorale gelese agli immigrati clandestini approdati sull’isola con tutto il carico del loro triste dramma. Eleggerne una piuttosto che un’altra, in un ventennio e oltre di attività figurativa, è una facoltà di cui non intendo avvalermi pur di non arrecar torto a nessuna delle opere partorite dal pennello del pittore siciliano.

Tuttavia, Iudice è inconsapevolmente artefice di un tormento che non mi dà pace.

Egli afferma che: «le opere sono come finestre, squarci aperti sul reale. Sono anzi delle realtà nuove, delle creature autonome paragonabili alle nostre fantasie».

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E dalla sua fantasia nacque un’incantevole creatura che divorò da principio il mio sguardo e su di sé riversò devote attenzioni. Musa e modella di altri squisiti lavori, la figura è trasfigurata dallo stesso autore in una forma chiusa di struttura plastica, abilmente levigata e resa angelica da macchie di luce ambrate entro una cubatura spaziale maiolicata di cui avverto al tatto la sua lucida freddezza.
Il suo ripiegamento intimistico mi riporta ai nudi mitologici di Hippolyte Flandrin, allo spirito romantico in cui l’io si estrinseca e rivela senza indugi la propria identità.

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Ma il languore melanconico di metà Ottocento è riletto da Iudice con nuova linfa mediante la frontalità proposta del soggetto, il quale si mostra agli sguardi altrui per fuggire l’oblio, componendo ciò che si attende: il lirico respiro dell’intimità.
A ciascuno la sua “Monnalisa!” Poiché di vivida ossessione si tratta e d’ignota vocazione si narra.

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Per ignote vie un’opera, a dispetto d’una sua simile, s’impone e si annida nell’umano ventre; lo colonizza e certa ne traccia l’umore come in un campo il suo fertile seme.

E del suo soggetto s’ignara la scintilla primordiale che ne diede forma; l’idea ancestrale che ne segnò l’ora.

Nulla so di Lei: il nome, la mente, il cuore; la voce, l’epidermide, l’odore.

Eppur di Lei ne percepisco ogni leggiadro sibilo, ogni sospiro effimero.

Lei non sa d’esser spiata furtiva e che al dì memore resto ancora della sua lunga scia.

Lei non sa della brama ardente che commossa si muove in petto; dell’ermetico sigillo che serafico non confesso.

Lei non sa d’essere amata per quel roseo viso, che è il mio diletto, e per il quale silente compongo ogni lirico pensiero.

Iudice ebbe il dono della grafia; forgiò le tue membra dando loro vita.

Iudice definì il tuo corpo senza inganno; lo modellò con tocco velato fissando ogni più fedele dettaglio.

Entro un virginale ventre la tua posa, che di gaudiosa essenza n’è l’eterna dimora; entro geometrica ellisse sei sospesa, pura e nobile come una perla.

Non ti neghi, non ti nascondi, invero ti offri e t’imponi.

E l’umido ambiente ove sei ospitata nell’intimo maniero in mia visione si plasma, e ivi regni qual amata sovrana.

Iudice ponderò tinte cangianti per rilevarti in volume; ti accarezzò col tepore del suo particolare lume.

Iudice fissò l’estro del suo genio nei tuoi occhi; ne accese le oscure iridi come abissi profondi.

Prigioniero di cotanta alchimia, dunque, sono affetto e vergogna alcuna non desto al decantato tuo cospetto.

Fosti mia per labili attimi, fui tuo per cadenzati palpiti.

Mi lasciasti nudo d’ogni speme, ti lasciai contrito come atto di fede.

Non fui vittima di sterile ira, non fosti rea d’innocente pena.

Iudice già previde della sua arte l’effetto; la sostanza manifesta d’ogni vibrante zelo.

L’intimità che si apre al suo lirico respiro è, in cuor mio, “Seduta di fronte”: ne avverto come in quell’acerbo tempo il carezzevole battito sotto l’incarnata cromia e per una volta soltanto ancora desisto e torna ad esser mia.

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Scorcio su San Giorgio – Ragusa Ibla

Le matite colorate sono uno strumento di grande duttilità, permettono di graduare effetti diversi e offrono la possibilità di lavorare in modo estemporaneo o procedere con più livelli di ponderazione.
Il disegno di Maria Stella Tubère ci presenta la cupola del duomo di San Giorgio a Ragusa Ibla,

Dimensioni foglio: 24x33 cm Materiali: foglio liscio, matite colorate
Dimensioni foglio: 24×33 cm
Materiali: foglio liscio, matite colorate

visto da una prospettiva inusuale, dall’alto di una scalinata che scende a precipizio, ritmata dalla verticalità della ringhiera di ferro verso le luminose case ragusane. Intanto la chiesa, come una corona, si posa sui tetti irregolari creando un contrasto con i suoi elementi regolari e raffinati, tipicamente barocchi. Maria Stella è riuscita a creare un’immagine dinamica, dai colori nitidi e con campi contrastanti, stesure di colore sfumate o in alcuni casi nette.

La sua ricerca di dinamismo è ben presente anche in un altro disegno di Maria Stella, il Treno.

Dimensioni foglio: 24x33 cm Materiali: foglio liscio, matite colorate
Dimensioni foglio: 24×33 cm
Materiali: foglio liscio, matite colorate

chiaramente ispirato al Futurismo ed in particolare a Roberto Marcello Baldessari, autore di visioni futuriste con treni protagonisti come in quella qui riportata.

The train arriving at the station of Lugo, 1916 Roberto Marcello Iras Baldessari

Maria Stella ci ha lasciato anche uno splendido collegamento musicale e poetico

alla canzone “La locomotiva” di Francesco Guccini:

“E sul binario stava la locomotiva,
la macchina pulsante sembrava fosse cosa viva,
sembrava un giovane puledro che appena liberato il freno
mordesse la rotaia con muscoli d’ acciaio,
con forza cieca di baleno,
con forza cieca di baleno,
con forza cieca di baleno…”

Grazie Maria Stella

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